Il carretto siciliano comparve nei primi anni dell’Ottocento e venne utilizzato come mezzo di trasporto dei prodotti agricoli. Ben presto si affermò in tutta l’isola soprattutto nel Palermitano e nel Catanese.
Su questo mezzo si è sbizzarrita la fantasia artistica degli artigiani dell’isola, non solo per la parte tecnica costruttiva, ma principalmente per le decorazioni delle sue parti; il Palermitano è caratterizzato dal colore giallo-arancio e il Catanese dal colore rosso e giallo. La vivacità dei colori usati esprime maggiormente le figure riprodotte, che si riferiscono a scene sacre, familiari, cavalleresche, ed a episodi della storia romana, greca, medioevale, moderna e scene delle più note opere liriche. Se nei primi decenni di produzione le fiancate dei carretti erano scolpite e dipinte con soggetti sacri, successivamente il repertorio si arricchì di nuovi temi – grazie all’influenza dei cantastorie – che andavano in giro per la Sicilia narrando le gesta di cavalieri: Orlando, Rinaldo e Carlo Magno, i più valorosi paladini delle leggende cavalleresche sono tra i grandi protagonisti dell’arte siciliana essi vengono rappresentati in tutto e per tutto nelle pitture dei carrettieri. Ai Santi, quindi, si alternarono storie di paladini e scene della “Cavalleria Rusticana”, la novella che Giovanni Verga aveva dedicato alla figura del carrettiere. Nella provincia di Catania si distinsero diversi centri di produzione con maestri carradori che, nel tempo, affinarono le tecniche per elevare uno strumento di fatica umana ad opera d’arte. Nello scorso secolo quest’arte ebbe magior sviluppo nell’acese, in particolare ad Aci Sant’Antonio, dove sorsero botteghe di fabbri e pittori per la produzione di carretti, tra queste, la bottega del Maestro Domenico Di Mauro definito dal Nobel Quasimodo “il Michelangelo dei carretti”. Oggi la produzione dei carretti è utilizzata esclusivamente a scopi folkloristici e museali.
Quando Guy de Maupassant, scrittore francese, nella Primavera del 1885, sbarcò a Palermo, la prima cosa che lo colpì fu proprio un carretto siciliano e lo definisce ” un rebus che cammina ” per il valore degli elementi decorativi. ” Tali carretti, piccole scatole quadrate, appollaiate molto in alto su ruote gialle, sono decorati con pitture semplici e curiose, che rappresentano fatti storici, avventure di ogni tipo, incontri di sovrani, ma prevalentemente le battaglie di Napoleone I e delle crociate; perfino i raggi delle ruote sono lavorati. Il cavallo che li trascina porta un pennacchio sulla testa e un altro a metà della schiena….Quei veicoli dipinti, buffi e diversi tra loro, percorrono le strade, attirano l’occhio e la mente come dei rebus che viene sempre la voglia di risolvere”. Molti critici isolani hanno descritto il carretto siciliano, da G. Pitrè a G. Cocchiara, da Enzo Maganuco ad A. Buttitta.
La Struttura
Il carretto è composto da quattro parti principali: le ruote, la cassa (parte contenitiva), le stanghe e il gruppo portante centrale detta cascia di fusu.
La Ruota
Il diametro medio delle ruote del carretto può essere di m.1,28 a m.1,32.
Nella parte centrale della ruota vi è il mozzo (‘u miòlu) con dodici fori per l’innesto dei raggi (arricchiti da intagli scolpiti da vari disegni), nella parte interna del mozzo viene incastrata la boccola a sezione conica, per l’inserimento sull’asse in ferro del carretto. La corona o parte esterna della ruota è composta da sei pezzi che costituiscono la circonferenza della ruota, tenuti insieme dal cerchione in ferro. Il mozzo è bloccato al fusu, per mezzo di un dado a vite, il fusu è dotato di due rondelle grossolane che permettono alla ruota un certo gioco, con emissione di un rumore caratteristico ((‘u toccu o lu tonu giustu), senza il quale il carretto non ha alcun valore.
Le Aste
Le stanghe (aste) sono a sezione rettangolare nella parte posteriore e centrale, ed ellittica nella parte anteriore, il cui terminale porta un anello in ferro (occhiu d’asta) per l’aggancio al basto. Fra le aste e sotto ‘i tavulazzi sono montate due parti in legno chiamate ‘i chiavi, una anteriore ed una posteriore. La prima è una semplice barra ricurva verso il basso, la seconda di forma rettangolare consiste in un bassorilievo intagliato rappresentante una scena, solitamente cavalleresca, che può assumere diversi gradi di pregevolezza. Spesso nella chiave posteriore si riportano i nomi dell’artigiano carradore e di chi ne ha commissionato la realizzazione. Nel terminale del carretto troviamo ‘a chiavi di ferru, che sorregge le aste.
La Cassa
Nella cassa del carretto troviamo il pianale di carico prolungato anteriormente e posteriormente da due tavole trasversali detto (‘u tavulazzu d’avanti e ‘u tavulazzu d’arreri) le due sponde fisse del carretto (‘i masciddàra), e il portello posteriore removibile (‘u puttèddu) per agevolare le operazioni di carico e scarico.
Ogni masciddàru è suddiviso equamente in due scacchi (i riquadri in cui vengono dipinte le scene), nel puttèddu invece troviamo uno scacco centrale e due laterali più piccoli. Gli scacchi sono divisi da segmenti verticali che congiungono i pannelli dal fondo della cascia e sei pioli in legno detti “barrùni” equamente divisi fra masciddàri e puttèddu. Sulla parte centrale del masciddàru è presente un staffone in metallo. I barrùni spesso sono intagliati e presentano in alto la testa di paladino o di popolano, rinforzati nella parte basale con un angolino in ferro.
La cassa (càscia) è sostenuta dai chiumazzeddi, tre robusti cuscinetti in legno, assi a sezione quadrata, opportunamente forate nelle parti terminali per l’incastro del piolo. L’ancoraggio dei chiumazzeddi alle aste è affidata a delle staffe in ferro.
La cascia di fusu è costituita: da un asse in ferro omogeneo, filettato ai due estremi; da una parte in legno intagliato sormontata da un arabesco di ferro e da due mensole (mensuli) che congiungono il fusu con la cascia.
Tra le aste, e sotto la cassa, appena dietro la chiavi d’avanti, spesso è montata una rete in corda (‘u rituni).
TIPOLOGIE
Con il passare degli anni, il carretto, ha assunto un valore emblematico folkloristico che è quello diffuso dalle pubblicazioni turistiche, sopravvivenze di un mondo scomparso, diffondenti informazioni superficiali.
Sponda alla Palermitana:
Tre sono le tipologie dei carretti (in base al trasporto effettuato) “U Tiralloru” con laterali bassi e rettangolari, era utilizzato per trasportare la terra; “U Furmintaru” con laterali rettangolari più grandi era utilizzato per trasportare frumento; “U Vinaloru” con le fiancate trapezoidali e le tavole inclinate, utilizzato per trasportare il vino.
Moltissimi gli elementi che differenziano il carro per aree di provenienza, soprattutto la ruota la cui costruzione richiede esperienza particolare, competenza e collaborazione; il sapere che viene gelosamente custodito e tramandato da padre in figlio.
Sponda alla Catanese:
La pittura del carro si afferma perché assolve diverse funzioni: protettiva del legno, magico- religiosa antropica di allontanamento del male e del negativo, pubblicitaria per i carri che hanno funzione commerciale, per attirare gli acquirenti e di status symbol per dimostrare la ricchezza del proprietario.
Nell’arco dei secoli le due scuole artigiane hanno cominciato ad esumere una rivalità stilistiche tra di essi, questa rivalità è una delle tante che si è accesa tanto tempo fa e mai conclusa.
Principalmente le scuole attuarono delle scelte stilistiche dissimili tra di loro, sia nella costruzione che nei dipinti, ma certamente possiamo affermare che i colori (rosso e giallo prevalentemente) non cambiarono, per questo possiamo dedurre che la rivalità è esistita e esiste tutt’oggi, ma dentro di loro le scuole non dimenticheranno mai di essere nella stessa isola, sotto lo stesso cielo e uguali anche con tutte le loro differenze, e questo va oltre a tutto e ricorda a tutti i Palermitani e Catanesi di essere Siciliani.